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15 minuti di lettura (3067 parole)

Deliverability, una guida completa

 Postal service

Sembra banale dirlo, ma il primo passo perché il tuo email marketing porti risultati è fare arrivare a destinazione newsletter e DEM: stiamo parlando di deliverability, termine inglese che potremmo tradurre con recapitabilità, cioè la capacità di essere consegnati ai destinatari finali.

Se non riesci a raggiungere la Inbox delle persone schivando i filtri dei server e la cartella Spam dei client, se molti dei tuoi messaggi vengono bloccati prima di essere anche solo considerati dentro al tab Promotions, questo è IL problema da affrontare, ed è bene farlo subito.

In questo articolo spiego quali sono i fattori che hanno un impatto sulla deliverability e come monitorare e migliorare la tua reputazione di mittente; ma prima di tutto, una premessa importante.

Non esistono trucchi per consegnare spam

La deliverability non consiste in una serie di trucchi o modi per hackerare il sistema e recapitare spam: anzi, la premessa fondamentale che voglio sia chiara è che, al di là di alcuni accorgimenti tecnici, le fondamenta di una solida deliverability stanno nella nostra capacità di essere rilevanti e utili e nel fatto che scriviamo a persone che vogliono ricevere le nostre mail.

A questo proposito, vorrei citare le parole con cui Matthew Grove, Senior Engineering Manager del team Delivery di Mailchimp, ha aperto di recente un’interessantissima sessione di Ask Me Anything a tema deliverability e dedicata ai partner Mailchimp:

Posso dire senz’altro che il fattore più importante che condiziona la deliverability è il modo in cui costruiamo e facciamo crescere la mailing list. Una lista di qualità è fatta di persone reali, con caselle email attive, persone che sanno cosa aspettarsi in termini di contenuti e frequenza di invio. Pensate anche al ciclo di vita della lista: è pressoché inevitabile che a un certo punto ci siano persone che decidono di disiscriversi o che quantomeno il loro interesse tenda a diminuire nel tempo. Offrire la possibilità di cancellare la propria iscrizione o di aggiornare le proprie preferenze, cambiando la frequenza dei messaggi, è un modo sano per gestire la diminuzione dell’engagement. So che può sembrare controproducente facilitare l’uscita delle persone dalla lista, ma le alternative, che siano smettere di leggere o, peggio, un “mark as spam”, danneggiano la vostra reputazione e di conseguenza la vostra deliverability.

Inizio quindi la mia rassegna dai fattori legati al modo in cui gestiamo la mailing list.

La gestione della mailing list

Partire col piede giusto significa impostare aspettative realistiche su che tipo di messaggi manderai e quanto spesso. Ci sono molte occasioni per farlo, e farlo bene.

  • Il modulo di iscrizione: quanti “iscriviti alla newsletter” buttati là, senza un perché, poco invitanti e poco chiari, o, al contrario, quanti “ricevi i nostri messaggi promozionali“ che fanno temere chissà quanto spam mentre invece si tradurranno in 5 o 6 messaggi in un anno! Quando chiedi alle persone di iscriversi, dovresti avere un piano su quanti e quali messaggi manderai loro, e dirglielo in anticipo significa acquisire un consenso più consapevole e, di conseguenza, affidabile.
  • I messaggi di benvenuto: non costa nulla aggiungere alla mail di benvenuto (ce n’è almeno una, vero?) un paragrafo che dice “ti manderò ogni sabato mattina una newsletter con un approfondimento a tema digital marketing, più ogni tanto gli avvisi delle offerte riservate a chi legge la newsletter”.
  • I messaggi di riattivazione: per chi sembra aver diminuito il proprio interesse, un messaggio che richiami l’attenzione, ricordi gli appuntamenti presi all’iscrizione e proponga eventualmente un aggiornamento delle preferenze di iscrizione è una pratica periodica utilissima.

Parlando di iscrizione, spezzo l’ennesima lancia a favore del doppio opt-in, il sistema per cui chi si iscrive non entra effettivamente in lista se non dopo aver cliccato su un link di conferma registrazione: oltre a tutelarti dal punto di vista legale perché documenta il consenso all’iscrizione da parte dell’interessato, fa sì che in lista entrino solo indirizzi senza errori e caselle attive.

Certo, il doppio opt-in implica un certo tasso di perdita iscritti fra il primo e il secondo step, ma su questo puoi lavorare con istruzioni chiare e inequivocabili durante i passaggi intermedi dell’iscrizione, soprattutto la pagina “ci sei quasi”:

  • ricorda che l’iscrizione va portata a termine cliccando sul link di conferma della mail che hai appena spedito all’indirizzo X;
  • suggerisci di cercare il messaggio di conferma registrazione anche all’interno della cartella Spam;
  • offri un’ultima opzione (“se proprio non lo trovi, scrivici all’indirizzo …”) per i casi disperati.

Il comportamento degli iscritti

L’email è un mezzo relazionale, quindi non stupisce il fatto che la nostra reputazione di mittenti sia legata anche al livello di coinvolgimento che mostrano di avere le persone a cui scriviamo. Quante più aperture, clic, interazioni siamo in grado di suscitare, tanto più saremo considerati mittenti conosciuti e graditi; se poi qualcuno arriva a rispondere alle nostre newsletter, bingo!, entriamo di diritto nella rubrica dei contatti, il posto più lontano dalla casella Spam.

Questo, per inciso, è uno dei motivi per cui non dovresti mai usare un indirizzo noreply@ come mittente!

Può capitare, certo, di finire in Spam: anticipa l’evenienza suggerendo alle persone, soprattutto quando sono appena entrate in lista, di andarti a cercare lì dentro se non ti trovano nella Inbox, perché essere attivamente tirati fuori dalla cartella Spam è un segnale molto forte verso il client di posta.

Per aumentare le aperture, spesso ha senso fare un secondo invio a chi non ha aperto la prima volta, magari cambiando oggetto o sperimentando in un orario diverso.

Il contenuto dei messaggi

Un tempo fare un giro nella cartella Spam serviva a rinfrescare la memoria sugli esempi più eclatanti di contenuto “chiaramente sospetto“; oggi io ci trovo soprattutto offerte commerciali di sconosciuti, che evidentemente stanno stressando l’anima a così tante persone da collezionare una caterva di mark as spam.

C’è però un’attenzione che vale la pena sottolineare, al di là degli ovvi “no tutte maiuscole, no solo immagini, no C4R4tt341 CH3 M4$CH3R4N0 £3 P4R0£3, no Viagra e Cialis”: attenzione agli URL shortener che usi. Quelli più comuni (es. bit.ly) possono generare sospetti nei filtri antispam perché molto usati, meglio avere uno shortener legato a un tuo dominio.

I fattori tecnici

Parlando di domini, vediamo come impostare correttamente i DNS; qui divento un po’ più tecnico, ma abbi pazienza, un’infarinatura di queste cose è meglio averla, se non altro per potersi capire col webmaster di turno.

Impostare DKIM, SPF, DMARC e BIMI nei DNS del dominio

Mettere come mittente di un messaggio email un indirizzo falso è un’operazione semplicissima, se sai come farlo; perciò è sempre più importante fare in modo che nessuno possa spacciarsi per noi.

Ci sono più server da cui possono partire messaggi “veramente” nostri:

  • il server che gestisce le nostre caselle di posta: ce lo fornisce il provider che ci vende dominio e caselle email, o Google se la posta del nostro dominio sta sui server GMail;
  • il server del nostro mailer, a cui chiedere le istruzioni su come impostare i DNS e fare l’autenticazione (in Mailchimp, le trovi nella sezione Website >> Domains);
  • i server delle applicazioni web che mandano messaggi per conto nostro, es. l’e-commerce o il CRM o il gestionale.

È quindi necessario che tutta Internet sappia quali server sono lecitamente autorizzati a mandare posta con la nostra firma: ed ecco quindi che ci vengono in aiuto i protocolli SPF e DKIM:

  • DKIM (DomainKeys Identified Mail) aggiunge una firma cifrata ai messaggi in uscita, e i server che ricevono il messaggio criptato utilizzano la chiave pubblica per decifrarlo e controllare che non sia stato modificato nel percorso fra la partenza e l’arrivo;
  • SPF (Sender Policy Framework) elenca i server che possono legittimamente inviare posta per conto del dominio.

Le istruzioni per impostare correttamente i record DNS relativi a DKIM ed SPF le puoi chiedere a provider e mailer.

È bene anche definire le politiche di gestione delle email che non provengono dai server autorizzati, e questo lo si fa grazie al protocollo DMARC (Domain-based Message Authentication, Reporting and Conformance); anche qui dovrai fare una variazione di DNS per specificare come vanno gestiti i messaggi email che si firmano col tuo dominio ma non arrivano dai server certificati (far passare, mettere in quarantena, respingere).

Non entrerò nel dettaglio delle istruzioni su come impostare i DNS, ma ti rimando alle guide di Google:

Già che ci sei, vale la pena anche di implementare il BIMI (Brand Indicators for Message Identification), che, con una politica DMARC attiva (respingere o mettere in quarantena i messaggi sospetti), consente anche di “firmare visivamente” le email che partono dal tuo dominio, facendo comparire il tuo logo nella Inbox; qui trovi una guida completa all’impostazione del BIMI, dalla gestione dei DNS alle specifiche per creare l’immagine vera e propria.

Google Postmaster Tools

Smarcato una-tantum questo aspetto, puoi iniziare a tener d’occhio la reputazione del tuo dominio: e qui uno strumento da conoscere e usare sicuramente è Google Postmaster Tools, su cui registrare tutti i domini che vuoi tenere sott’occhio in termini di:

  • spam rate;
  • reputazione del dominio;
  • reputazione degli IP (questa è soprattutto a carico di chi gestisce i mailer, e ti assicuro che prendono questo compito molto sul serio);
  • problemi di consegna (qui puoi rilevare episodi problematici da segnalare all’assistenza del mailer).

I vari tipi di bounce

Quando mandi una campagna email, le mancate consegne possono essere di due tipi:

  • hard bounce: rifiuto definitivo della consegna;
  • soft bounce: un problema temporaneo, che non pregiudica a priori nuovi invii.

Un hard bounce può essere dovuto al fatto che l’indirizzo a cui scrivi è sbagliato (un’iscrizione in single opt-in venuta male, o l’importazione di un archivio contenente errori) o la casella è stata chiusa senza prevedere un inoltro o una risposta automatica. In alcuni casi più rari, il server a cui stai inviando potrebbe aver bloccato in modo permanente le consegne, inserendoti in black list; in ogni caso, i mailer, una volta ricevuto un hard bounce, disiscrivono immediatamente quel contatto, per smettere di mandare messaggi che saranno rifiutati.

I soft bounce vengono considerati con maggiore clemenza, e di solito i mailer ammettono un certo numero di soft bounce prima di cancellare un’iscrizione; Mailchimp tollera 7 soft bounce consecutivi se si tratta di un’iscrizione nuova di zecca, senza alcuna attività (aperture, clic); 15 soft bounce se in passato quel contatto aveva interagito con le tue email. Dopo 7 o 15 soft bounce, in ogni caso, l’indirizzo viene chiuso (cleared) come se si trattasse di un hard bounce.

Le possibili ragioni di un soft bounce temporaneo:

  • casella piena o inattiva;
  • email server fuori servizio;
  • email server che sta ricevendo un numero esagerato di messaggi e quindi chiude i cancelli di ingresso temendo un attacco informatico;
  • contenuto o dimensioni del messaggio giudicate sospette dai filtri antispam o antivirus;
  • policy DMARC non rispettate (ricontrollare l’autenticazione del dominio);
  • i gestori del server di posta bloccano a priori i messaggi di email “massive” (qui bisogna trattare con l’IT chiedendo di modificare le regole d’ingresso).

Se rilevi un numero esagerato di soft bounce, conviene indagare insieme ai tecnici dell’assistenza del tuo mailer, andando a vedere per esempio se il soft bounce sono stati motivati in qualche modo (ad esempio, “Message blocked due to spam content in the message” o “Spam detected by content scanner. Message rejected”).

Consegnare su GMail

GMail è uno dei servizi di posta più diffusi, sia con le caselle gmail.com sia perché gestisce la posta di molti domini aziendali attraverso i servizi della Google Suite. È importante quindi capire come funziona la consegna nei territori Google.

Voglio arrivare nella cartella principale, non in Promotions!

La mia posizione su questo tema è nota da tempo: questo è un falso problema. Gmail organizza la posta in arrivo con l’obiettivo di facilitare la vita alle persone, dividendo i messaggi personali dalle newsletter e dalle comunicazioni di servizio e notifiche social e non c’è niente di male in questo.

Possiamo escogitare qualche trucco per cercare di ingannare GMail e fargli recapitare la nostra posta in Primary tab, o supplicare in ginocchio i nostri iscritti di trascinare la newsletter da Promotions a Primary, ma alla fine probabilmente la longa manus di Google ci ributterà dove dobbiamo stare: le newsletter con le newsletter, i messaggi transazionali negli Update, e così via.

Ho trovato particolarmente ficcante l’esempio fatto dall’ottimo Matthew Grove durante la AMA che citavo all’inizio:

Dovreste preoccuparvi di superare le aspettative dei vostri iscritti per ciò che riguarda la qualità dei contenuti, ma rispettare le loro aspettative riguardo alle modalità di consegna. È un po’ come per la pizza: bussano alla porta di casa per consegnare una pizza? Fantastico! Bussano alla porta del bagno con una pizza in mano? Ahem, forse non è il caso.

Consegno dappertutto tranne che su GMail!

Se hai l’impressione che GMail non ti ami (non perché ti mette in Promotions, ma proprio perché non ti fa arrivare nemmeno in Spam) questo richiede un’analisi dedicata, da fare insieme al supporto del tuo mailer per analizzare i report di bounce e capire che tipo di problemi si sono manifestati. Una volta identificato il problema, si potrà lavorare in modo specifico per “riattivare” gli iscritti GMail facendo in modo che “allenino” i filtri a riconoscerti come mittente di valore.

I messaggi lunghi vengono troncati

GMail tronca i messaggi il cui HTML supera i 102KB; per valutare il peso dell’HTML, mandati il test della campagna che stai creando, salvalo come HTML e guarda le dimensioni del file.

Il problema col troncamento (clipping) è che il pixel di tracciamento dei mailer sta generalmente in fondo al messaggio, altrimenti alcuni client, tipo il solito Outlook, scombinano tutti gli stili. Quindi se il messaggio è stato troncato e non viene aperto in versione web, magari perché l’unica cosa rimasta fuori è la firma, la mail viene segnata come non aperta: lo so per esperienza personale, visto che alcune delle mie newsletter più belle ma lunghissime hanno generato una valanga di risposte dirette, con tassi di apertura del 10-15% più bassi del normale!

Come valutare la tua deliverability

I segnali da tenere d’occhio:

  • alti tassi di hard e soft bounce;
  • persone che ti segnalano di ricevere la tua posta in spam;
  • tassi di apertura molto bassi;
  • tassi di apertura bassi + zero disiscrizioni (questo può significare che le persone non si disiscrivono perché nemmeno ti vedono).

Da tenere presente che questi indicatori, soprattutto il tasso di apertura, sono anche in relazione alle dimensioni della mailing list: con liste di dimensioni limitate (poche centinaia di iscritti) hai generalmente a che fare con microcomunità coese ed entusiaste, gente che probabilmente conosce anche di persona chi sta scrivendo: qui è abbastanza comune avere tassi di apertura che toccano e a volte superano il 50%. Via via che le liste aumentano di dimensioni, l’interesse in qualche modo si diluisce, le persone che entrano in lista non sono più così “vicine al cuore” del progetto, quindi è del tutto normale che le aperture si assestino intorno al 25-30%.

Inoltre, le regole dei filtri cambiano da sistema a sistema: puoi avere problemi a consegnare su libero.it ma non su Gmail, o passare indenni i filtri dei grandi provider ma non riuscire a consegnare in una specifica rete aziendale. Ogni tanto, vale la pena di valutare quali sono i provider più usati dai tuoi iscritti, e magari fare analisi specifiche se rilevi problemi su qualcuno di questi. Viene utile a questo proposito l’elenco curato da Word to the Wise, con i principali servizi di gestione della posta e relative policy.

Oltre a Google Postmaster Tools ci sono strumenti come il Sender Score di ReturnPath , il Microsoft SNDS e anche il mail.ru per chi ha liste in Russia; per tutti questi, serve l’indirizzo IP inviante, un’informazione da richiedere all’assistenza del proprio mailer – sempre ammesso che si abbia un IP dedicato.

Mailchimp e la deliverability

Mailchimp, come tutti i provider di servizi di mailing, cura con molta attenzione la reputazione dei propri IP: è per questo che, in presenza di segnali allarmanti (bounce rate troppo alti, segnalazioni di abuso da parte di chi si disiscrive, un numero di disiscrizioni particolarmente alto a seguito di una campagna) ti manda immediatamente un avviso per riportarti sulla retta via.

Quando importi una lista, questa viene analizzata da Omnivore, un sistema di A.I. che attinge all’enorme quantità di dati accumulati negli anni per individuare negli elenchi caricati la presenza di possibili spamtrap o indirizzi malfunzionanti. Se questi superano una certa soglia, il caricamento non sarà possibile: meglio allora fare un list-cleaning preliminare con sistemi come DataValidation.com.

Su Mailchimp le email delle campagne massive vengono spedite a scaglioni successivi da indirizzi IP di reputazione immacolata, con zero o pochissimi “blocchi” nel proprio storico; questo può far sì che, in presenza di un gran numero di invii contemporanei, alcuni invii debbano aspettare il proprio turno, per non “ingolfare” i server migliori. Le politiche di distribuzione sui vari IP cambiano su Mandrill, la piattaforma di email transazionali, che può sfruttare il fatto che i messaggi di servizio tipicamente sono attesi e cercati attivamente, quindi superano i filtri con una probabilità molto più alta delle email promozionali.

Naturalmente Mailchimp, come gli altri mailer, si confronta attivamente con gli attori più importanti fra i provider di servizi email, tutti consapevoli del fatto che nessuno rende pubblici i propri algoritmi di filtro, proprio per evitare che questo venga usato dagli spammer. Per lo stesso motivo, Mailchimp non offre una valutazione a priori della probabilità che una campagna finisca in spam, ma preferisce offrire linee guida e assistenza.

Non ci sono differenze in termini di deliverability fra i vari piani tariffari Mailchimp, neppure fra quello gratuito e gli altri; l’unica opzione aggiuntiva sono i report dedicati alla compliance dell’account, disponibili solo per gli utenti Premium.

Conclusioni

La deliverability è un po’ come la SEO: ci sono aspetti prettamente tecnici di cui conviene capire a grandi linee il senso, per poi affidarne la cura a chi si occupa solo di quelli. Tutto il resto è pensare alle persone, metterti nei panni del tuo pubblico, dare risposte a domande importanti, generare aspettative giuste e consegnare di più e meglio di ciò che hai promesso.

È semplice, il che non significa che sia facile. Ma è l’unico modo in cui vale la pena di lavorare.

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